mercoledì 27 febbraio 2008

Par condicio

Scritto da Emiliano Morrone
martedì 26 febbraio 2008 21:49
Di par condicio si muore piano. Stavolta, non c’entra Neruda. Un male, questa legge, che imbavaglia la stampa, stoppa l’informazione e sottrae al potenziale elettore la possibilità di intervenire costruttivamente nel dibattito politico. Appiattito, nonostante l’apparenza di novità, da pretese di copyright dei partiti e, restando in tema sanitario, dalla loro annunciata – ma dubbia – disponibilità di anticorpi monoclonali contro l’immobilismo degli apparati.

Nel 2006, circolavano le ricette, a ridosso del voto. Se ben ricordiamo, la retorica delle parti culminava con una sintesi farmacologica, uno schema terapeutico fatto di molecole efficaci e senza effetti collaterali: libertà – intanto dalle tasse – a destra, e stabilizzazione – in primo luogo dei giovani – a sinistra. Via l’Ici e sgravi fiscali da un lato (Berlusconi) e abrogazione della Legge 30, alias Biagi, dall’altro (Fassino). C’è sempre, dunque, una ciclicità nella comunicazione della politica: un che relativo anzitutto alla patologia. «Siamo – ha scritto qualcuno – una società di immonodepressi». Le nanoparticelle, la clorazione dell’acqua, gli Ogm, i ritmi impossibili dell’ennesima post-modernità, i conservanti, lo smog e l’individualismo possessivo inibiscono le difese dell’organismo e vi depositano pericolosi residui.
La classica metafora del cancro, con cui sono stati impartiti insegnamenti di prima saggezza, da Ryke Geer Hamer a Tiziano Terzani, ci aiuta a capire meglio l’evoluzione della cosa pubblica. Anche in Calabria; oggi silos d’una miscela di interessi illeciti a livelli altissimi: ai vertici, nelle stanze dei bottoni. Arresti di onorevoli, avvisi di garanzia, sospetti di truffe e di loro rapporti con la ’ndrangheta, ipotesi di accordi privati nelle istituzioni e di trame con logge coperte, la morte assurda di Federica Monteleone, Eva Ruscio, Andrea Bonanno e altri; tutto ciò non ha bloccato la metastasi d’un sistema che ha negato lo sviluppo della regione, nonostante i miliardi dall’Europa.
E mentre, in questa terra solare, ci scorrono, come davanti a un film del Neorealismo italiano, immagini di povertà e disperazione quotidiana, dalle sedi romane dei partiti si calcolano alleanze e strategie del consenso. Qualcosa allontanerebbe il sospetto che, pure in questa tornata elettorale, i partiti alimentino la massa tumorale della Calabria?
Veltroni s’è ricordato che la pulizia è anche polizia. Ha preso il prefetto De Sena, con il che l’immagine generale di un’avviata chelazione arriva subito al corpo dei votanti. Il Pdl, invece, nutrirebbe dubbi sulla candidatura di Angela Napoli, che, negli anni, ha sempre avuto posizioni di aperto conflitto verso la criminalità e il malaffare. Al punto da portare la faccenda etica perfino in An. L’incertezza sulla Napoli dipende da «rapporti di forza» nello schieramento oppure dall’esigenza di evitare eventuali contraddizioni interne?
Per tutte le liste, sarebbe un errore fatale non proporre al Parlamento chi, indipendentemente dall’appartenenza, in una regione segnata dal sangue, dal silenzio, dall’irrisolto e dall’emigrazione, ha sposato la causa della legalità. Malgrado il confronto politico nazionale stia andando su argomenti propri della dialettica fra laicisti e cattolici, la questione della giustizia rimane in cima alle priorità dell’Italia, della Calabria, della Sicilia, del Sud. Dal basso, e senza secondi fini, lo sta ribadendo Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, attraverso il sito www.19luglio1992.com. Mantenere viva la tensione sul punto è doveroso, specie per noi meridionali.
In questo senso, occorre pretendere un risarcimento, dovendo sopportare una legge elettorale che ci usa. Ci siano, allora, tra i futuri legislatori, “oncologi” della giustizia.

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